Matthias Lerf in merito a «Höhenfeuer»

Dal 2001 la SonntagsZeitung stila regolarmente la classifica del miglior film svizzero della storia. Secondo questa estesa inchiesta, da anni “Höhenfeuer” figura in testa alla classifica, con netto vantaggio. È la favola di due fratelli che vivono sull’Alpe: un’innocente storia d'amore tra Belli e suo fratello, che viene chiamato semplicemente il “ragazzo”, sfocia nell'incesto e nella morte. Nonostante l’ubicazione geografica sia precisa (un pendio sopra la linea del Gottardo nel Canton Uri), il film ha la dimensione universale di una tragedia greca. E non sembra affatto invecchiare. Numerosi cineasti si sono ispirati a questo film. Ursula Meier, ad esempio, ha pensato a “Höhenfeuer” per la sceneggiatura di “Home”. Anche nel film “L’enfant d’en haut”, ambientato in montagna, la Meier si è ricordata di uno strumento che Fredi M. Murer aveva rigorosamente adottato per “Höhenfeuer”, il miglior film svizzero: non mostrare mai le cime delle montagne per evitare che la scenografia scadesse a banale paesaggio da cartolina.

Cristina Trezzini in merito a «Höhenfeuer»

Un film ambientato sulle montagne della Svizzera centrale che racconta una storia universale paragonabile, per potenza e significati profondi, alle antiche tragedie greche. “Höhenfeuer” è il racconto di una famiglia di contadini di montagna isolata e rinchiusa in se stessa. Il film è la poetica narrazione di una storia indicibile; il profondo amore tra fratelli che, trasformandosi in incesto, porterà alla tragedia.

Il mondo esterno, su quelle montagne, nello chalet che il mare di nebbia avvolge come fosse su un’isola, è visto spesso soltanto attraverso un binocolo. Il binocolo per guardare lontano, la lente per vedere vicino, gli specchi per esplorare il mondo interiore; Murer ricorre spesso a questi strumenti nel film.

Una delle scene più potenti mostra fratello e sorella guardarsi reciprocamente con un grande specchio tra di loro. Si vede il corpo riflesso di lei da cui sporge, sopra, la testa di lui. Sono uno lo specchio dell’altro, in uno straordinario quadro che illustra il loro rapporto unico e profondo.

Pochissimi i dialoghi, magnifiche, etnologicamente rigorose e potenti le immagini del direttore di fotografia Pio Corradi. Thomas Nock (der Bub) e Johanna Lier (Belli) perfetti nei ruoli.