Benedikt Eppenberger in merito a «Jack the Ripper»

È uno di quei film che fu letteralmente stroncato dalla critica ufficiosa dell’epoca e, proprio per questo, attirò ancora di più il mio interesse. L’avvertimento che si trattava di «robaccia» era un elemento di richiamo per me, mentre consideravo il giudizio «senza alcun valore»un elogio. Oggi, raccomando la visione del film «Jack the Ripper» («Jack lo squartatore») pensando a uno scudo protettivo del tempio della celluloide, che conserva la memoria di un’epoca in cui sette giorni bastavano per realizzare un film lungometraggio. O meglio il regista chiedeva al produttore: «Cosa desidera? Un film realizzato con tutti i crismi o un film entro giovedì prossimo?». 

Tra tutti i lungometraggi del produttore cinematografico svizzero Erwin C. Dietrich, «Jack the Ripper» si contraddistingue per due nomi: Klaus Kinski e Jesus (abbreviato in «Jess»). Kinski non ha certo bisogno di presentazioni. Al contrario, ci si dimentica ampiamente dell’autore spagnolo della B-Pictures, Jesus Franco, che all’epoca della realizzazione di «Jack the Ripper» aveva già realizzato ben 75 lungometraggi; nel 2008, quando il «genio del trash» fu onorato dalla Cinémathèque française, che gli dedicò una retrospettiva, Jess ricordò con nostalgia il «Gipfelischiff», il battello su cui viaggiava quotidianamente da Thalwil a Zurigo per recarsi a girare le riprese del film. «Jack the Ripper» e «Gipfelischiff» compaiono nella stessa frase: se questo non è un incentivo a guardare un film svizzero, cos’altro è?